Napoleone come Marte pacificatore
Nel 1799 Napoleone Bonaparte si autoproclama primo console di Francia: prende così il via la scalata che lo porterà a proclamarsi imperatore, facendo tremare le teste coronate d’Europa fino alla definitiva disfatta di Waterloo. Una figura che giganteggia tanto nelle storie d’arme quanto nelle belle arti grazie ai ritratti immortali che ne lasciano Jacques-Louis David, Jean-Auguste-Dominique Ingres e, naturalmente, il maggior Scultore dell’epoca: Antonio Canova.
Giunge un momento, nella vita dell’Artista, in cui non gli è più possibile sottrarsi alla principale committenza dell’epoca, malgrado i tentativi di convincerlo a realizzare un ritratto dell’imperatore si susseguano sin dal 1802: un genere peraltro, quello del ritratto, in cui Canova si era cimentato assai di rado prima di allora, in quanto vincolante a un principio di verosimiglianza che mal si conciliava con l’idealizzazione delle figure e le scelte formali dell’estetica neoclassica.

Già nell’ottobre di quell’anno, in occasione del viaggio dell’Artista in Francia, egli accoglie la proposta di Napoleone di realizzare “una sua statua”, lasciando intendere che si tratti di una scultura a figura intera anziché di un semplice ritratto. Napoleone si annoiava molto a posare per lo scultore e dunque, nel corso della sua permanenza nel castello di Saint-Cloud, in “cinque sedute assai brevi” Canova “fece in creta il ritratto di mole alquanto gigantesca” di Napoleone come primo console, riformato in gesso prima del rientro in Italia. Poi, durante un’uggiosa giornata di novembre, in attesa che Napoleone faccia ritorno da una battuta di caccia a Saint-Cloud, l’illuminazione: Canova lo avrebbe raffigurato con le sembianze del dio Marte, nudo a eccezione della clamide militare adagiata con disinvoltura sulla spalla sinistra, la stessa che regge il bastone del comando, e un globo sormontato dalla dea Nike alata nella mano destra. Un Marte pacificatore, dunque, di cui esaltare virtù e attributi scollegati dalla guerra, profondamente aborrita dall’artista.
Come nel caso di Paolina Borghese, sorella minore di Napoleone, già raffigurata nelle sembianze di Venere, Canova persegue nella sua idealizzazione delle figure regnanti; stabilendo di rappresentare l’imperatore nelle vesti dell’inarrestabile Marte per celebrarne al meglio le qualità. Riprende in questo modo una consuetudine diffusa nell’antica Roma, quando gli imperatori venivano ritratti nelle vesti di dei o semidei.
L’opera doveva essere, in un primo momento, destinata non al regnante stesso, bensì a Milano, all’epoca seconda città più importante dell’impero, in una posizione pubblica di prestigio. L’ideazione del ritratto definitivo, all’antica, deve risalire alla seconda metà del 1803: in esso i lineamenti di Napoleone subiscono una decisa idealizzazione, una modalità che – seppur ne irrigidisca notevolmente il volto – consente a Canova di conciliare il genere del ritratto allo stile greve del nudo.
Nonostante la scultura sfiori i tre metri e mezzo, rendendola di fatto colossale, durante il 1804 Canova matura la convinzione che sia inadatta, oltre che a occupare un posto di rilievo nella città di Milano, anche a rappresentare l’importanza della figura di Napoleone nel panorama contemporaneo, sia storico che politico. Canova lavora di concerto con gli sbozzatori fino all’agosto del 1804: una volta terminato ed esposto nel suo studio, il Napoleone come Marte pacificatore riscuote grandi elogi e apprezzamenti. Questo stesso successo, però, non conosce replica in Francia: all’arrivo della statua a Parigi dopo l’acquisto da parte di Napoleone, solamente nel 1811, essa non viene apprezzata né compresa dal committente. Questi, che avrebbe voluto veder esaltate le doti dimostrate sul campo di battaglia, giudica inappropriata la nudità della scultura, oltre a ritenere assurda la scelta di innestare la testa di un uomo ancora vivente sul corpo nudo di una divinità del pantheon classico. Il modello del Doriforo di Policleto e i vestimenti all’antica erano un passaggio necessario a nobilitare la figura dell’imperatore: necessità che quest’ultimo, però, non è in grado di comprendere. Canova, malgrado il suo carattere mite, è in grado di difendere valorosamente il suo modo di concepire l’arte della scultura – nonché l’estetica neoclassica tutta.
Rivestirà inoltre un ruolo di grande rilievo nel riportare in patria le opere trafugate nel corso delle spoliazioni napoleoniche.
Al pari di Napoleone, nemmeno i francesi dimostrano di apprezzare la statua colossale e la critica parigina spende aspre parole di biasimo nei suoi confronti: la Francia dell’epoca era infatti più avvezza alla fedeltà storica nella rappresentazione degli uomini illustri, come dimostrato dalla copiosa produzione d’oltralpe di opere ritraenti Napoleone dal periodo del consolato al sorgere dell’impero. Intervengono però in favore di Canova e della sua opera personalità del calibro di Jacques-Louis David, all’epoca ritenuto il maggior Artista francese vivente, uomo affatto avvezzo ai complimenti.
In un primo momento la scultura trova una facoltosa collocazione all’interno del Musée Napoléon (il poi ribattezzato “Louvre”), ma Napoleone ne ordina ben presto l’occultamento agli occhi del pubblico. Vani sono i tentativi di Canova di riappropriarsi del marmo, una volta che l’imperatore cade in disgrazia: esso viene infatti acquistato dal governo inglese per la cifra di 66.000 franchi e donato al vincitore della battaglia di Waterloo, Lord Wellington, che lo colloca nel suo attuale luogo di conservazione: la sua dimora londinese, Apsley House.
A cura di Ingrid Pianaro
Bibliografia di riferimento:
- Leone Francesco, Antonio Canova. La vita e l’opera, Roma, Officina Libraria, 2022;
- Guderzo Mario, Museo Gypsotheca Antonio Canova, Milano, Silvana Editoriale, 2020.