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L'amore di Marte e Venere: ispirazione per poeti e scultori

28/06/2022

Il primo canto dove viene raccontata la relazione erotica tra Venere e Marte è di Demodoco e risale al VIII libro dell’Odissea, i personaggi di questo canto sono la bellissima e adulterina Venere, l’amante Marte e il tradito Efesto. Il matrimonio tra Efesto e Venere nasce da un ricatto; Zeus aveva generato Atena facendola nascere dalla sua testa, senza aver bisogno di una donna. Era, moglie di Zeus, volle compiere la stessa impresa ma generò un figlio deforme e debole, Efesto, dio del Fuoco e delle Fucine, il povero bambino dopo la nascita fu gettato dall’Olimpo dalla stessa madre a causa della sua fisicità.
Efesto escogitò la vendetta per il gesto di sua madre ed un giorno la legò, tramite fili sottilissimi e un marchingegno sofisticato, ad un trono che iniziò a fluttuare. Gli dèi provarono a convincere Efesto a liberare Era, ma il dio non ne voleva sapere, solo Dioniso facendolo ubriacare ebbe risultati, ma in cambio della libertà della madre egli volle in sposa Afrodite.

Il mito parla della passione travolgente tra Venere e Marte, i quali finiscono per consumare il frutto del loro amore nel letto di Venere ed Efesto, fonte di grandissimo disonore per il marito. Efesto viene informato però da una sentinella, il Sole, il quale essendo onnipresente vede i due amanti “abbracciati in amore” (Omero, Odissea, VIII); furioso e straziato Efesto andò alla fucina meditando vendetta e creò una catena d’oro fina come la tela di un ragno ma indistruttibile, la posizionò proprio sul letto in modo da poter intrappolare i due amanti nel loro amplesso.
Una volta posizionata la trappola Efesto finse di andare a Lemno, sicuro che i due giovani dèi si sarebbero visti in sua assenza, e così fu, Marte prese per mano Venere e la accompagnò sul letto, proprio dove scattò la trappola, la rete li imprigionò ed Efesto corse a recuperare il suo “bottino” sbraitando agli dèi la sua ira:

“Zeus padre, o voi altri, o dei beati sempre viventi / qui a veder cose vergognose e ridicole / come la figlia di Zeus, Afrodite, ma che son zoppo / disprezza sempre, ama Ares crudele / perché è bello e sano di gambe; e io invece / son nato sciancato: e nessun altro ne ha colpa / tranne i due genitori: oh non m’avessero mai generato! / Ma guardate dove fanno all’amore quei due / saliti sopra il mio letto… Scoppio di rabbia a vederli.
Ora però non vorrebbero, penso, più neppure un minuto / Giacere insieme, per molto che s’amino: sì, non vorranno / Dormir più insieme, ma li terrà la catena, la trappola / finché tutti mi renda il padre i doni di nozze / quanti ho dovuto pagarne per questa sposa senza pudore. Certo, ha una figlia bella, ma incontinente!”
OMERO, Odissea, VIII

Gli dèi accorsero in gruppo per farsi beffe dei due amanti mentre le dee evitarono lo spettacolo per pudore, solo Poseidone, dio del mare, chiese ad Efesto di liberare i due poveri amanti, i quali una volta sciolti dalla rete indistruttibile scapparono uno in Tracia e l’altra a Cipro.
Anche se nella letteratura latina questo mito fu marginale, a causa degli ideali forti del mos maiorum soprattutto riguardanti la pudicizia femminile, caposaldo della società del tempo, l’amore tormentato e passionale di Venere Marte fu spesso fonte di ispirazione per letterati ed artisti. Lucrezio, nel De rerum natura, scrive uno dei versi più celebri e letti che riguardano questa storia, fa un elogio a Venere, unica dea capace di calmare il focoso carattere di Marte:

“Infatti tu sola puoi gratificare i mortali con una tranquilla pace / poiché le crudeli azioni guerresche governa Marte / dì possente in armi, che spesso rovescia il capo nel tuo grembo / vinto dall’eterna ferita d’amore, e così mirandoti con il tornito collo reclino / in te, o dea, sazia anelante d’amore gli avidi occhi / e alla tua bocca è sospeso il respiro del dio supino.”
Lucrezio, De rerum natura, 31-36

Pittori come Botticelli (1445-1510), Veronese (1528-1588) e Jacques-Louis David  (1748-1825), creeranno invece fantastiche opere pittoriche riguardanti i due giovani amanti nelle diverse fasi della loro relazione adulterina.

Nella magnifica opera di Canova, commissionata dal principe reggente d’Inghilterra Giorgio IV, conclusa nel 1822, si trova tuttora al Buckingham Palace a Londra, i soggetti rappresentati sono Venere e Marte, Marte si erge virile, pronto a scattare con la lancia in mano ma volge alla sua amata uno sguardo languido, la bella Venere avvolta da un panneggio sottile si appoggia dolcemente e si abbandona ad un amorevole abbraccio. Ai loro piedi è presente una cornucopia a simboleggiare il ritorno della prosperità garantito dalla fine del conflitto bellico, i due giovani dèi celebrano allegoricamente la fine dell’epopea napoleonica con la quale termina anche il conflitto che attanagliava l’Europa.