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La Deposizione di Cristo di Antonio Canova

19/08/2024

Antonio Canova non si limitò alla scultura, ma si dedicò anche alla pittura, esplorando temi sacri e mitologici con grande maestria. Tra le sue opere pittoriche più significative spicca la pala d’altare realizzata per il Tempio di Possagno, un’opera monumentale che riflette l’attaccamento profondo dell’Artista per la sua terra natale. La pala, che rappresenta la Deposizione di Cristo, non è solo un’espressione della sua abilità tecnica, ma anche un simbolo del suo amore per Possagno e un’importante testimonianza del suo percorso artistico.

Scopriamo quest’opera con un approfondimento della dott.ssa Moira Mascotto, Direttrice del Museo.

La grande pala è collocata nell’altar maggiore del Tempio di Possagno, l’edificio monumentale voluto da Canova che testimonia l’affetto e la generosità verso il paese che gli diede i natali ed è emblematica la dedica e la firma che appose nel dipinto “In atto di attaccamento per la patria – Antonio Canova dipingeva – Possagno 1799”.

L’opera, citata dalle principali fonti, viene ricordata anche da Antonio d’Este in Memorie di Antonio Canova

““Partito da Roma nel mese di maggio del 1798 in compagnia della buona e brava Luigia e del suo marito, affine non gli mancasse la necessaria assistenza, giunse a Possagno, dove mancando di marmi sul luogo, occupossi a dipingere, cominciando la gran tela per il maggior altare della chiesa parrocchiale, esprimente la Deposizione di Cristo dalla Croce. Colà vivea tranquillo, lungi dalle esaltazioni delle menti che in quel tempo conturbarono Roma.””

Successivamente Canova ritoccò il dipinto, una prima volta nel 1810 e una seconda nel 1821, quando venne «tolto di mezzo il sepolcro che antecedentemente vi si vedea, renduta quindi più sfolgorante e più bella la irradiazione dell’Eterno»[1] e il manto della Vergine venne ridipinto in nero. Di quest’ultimo intervento dà testimonianza sempre d’Este:

[1] M. Missirini, Della vita di Antonio Canova. Libri quattro compilati da Melchior Missirini, Prato, per I Frat. Giachetti, 1824 (ried. Anastatica a cura di Francesco Leone, Bassano del Grappa, Istituto di Ricerca per gli Studi su Canova e il Neoclassicismo, 2004), p. 136.

““Trovandosi a Possagno volle ritoccare il suo gran quadro della Deposizione della Croce: di là l’Abate il dì 11 luglio m’informava così: «Mio fratello sta benone, benissimo: jeri ha cominciato a por mano ai ritocchi del quadro:» ed il 16 di luglio replicava: «Due sole righe per farvi conoscere la continuazione dell’ottimo stato di salute, e dei progressi rapidissimi che fa il lavoro del quadro. Sembra incredibile ciò che ha fatto mio fratello in cinque giorni.» …Ed il 19 dello stesso mese aggiungeva: «L’amico sta benissimo, e seguita a ritoccare il quadro, che sarà rinnovato in modo da non conoscerlo più per quello di prima. Li lavori del tempio van pur bene. ””

Nella parte inferiore il corpo di Cristo è esanime, deposto sul cataletto circondato a sinistra da Giuseppe d’Arimatea e da Maddalena posta di profilo, dai lunghi capelli biondi e ricurva sul corpo giacente sfiorandogli dolcemente il capo. A destra invece sono rappresentati san Giovanni nell’atto di baciare la mano del maestro, Maria di Cleofe di cui si scorge solo il capo e Nicodemo che si copre il volto con il manto ed entrambe piangono la sua perdita.

La Vergine è al centro del dipinto e, come una Madonna della Misericordia, allarga il manto e nel gesto delle braccia riflette quello dell’Altissimo; nel suo ruolo di mediatrice, gli rivolge lo sguardo e, con la bocca dischiusa, sembra invocare il suo aiuto.

Tra la terra e il cielo, sul lato sinistro della tela, si vedono delle colonne doriche, diafane, che richiamano quelle del pronao del Tempio. Sopra sono poste delle schiere di angeli vestiti di veli leggeri che manifestano sentimenti diversi: alcuni rivolgono lo sguardo a Cristo giacente e la disperazione è tale da portarsi le mani ai capelli, altri suonano le trombe, altri ancora guardano al Padreterno con espressione interrogativa.

Il mistero della Trinità invece è raffigurato nell’asse centrale del dipinto e nella parte sommitale è posto Dio, avvolto di luce ed è un Dio che si è fatto uomo, ha le braccia allargate per accogliere lo Spirito Santo, rappresentato dalla colomba che sta volando verso di lui, e in basso è posto Cristo che risorgerà dalla morte dopo poco e salirà al cielo.

Molte sono le suggestioni che l’artista fece confluire nel dipinto, dalla ripresa del doppio tema – Il Compianto di Cristo e la Trinità – dalla Pietà di Anton Raphael Mengs, alle soluzioni formali del Cristo disteso sul ricoperto da un lenzuolo e la figura della Vergine isolata al centro della Pietà dei Mendicanti di Guido Reni.

Altre influenze sono riconoscibili invece nei dipinti dei Primitivi e nei lavori di artisti a lui contemporanei come John Flaxman, scultore e disegnatore inglese che diede vita alle raffigurazioni neoclassiche più note del poema dantesco e, nello specifico, Canova derivò dalle incisioni del XXXIII canto del Paradiso la raggiera del Padreterno, come già osservato a suo tempo da Leopoldo Cicognara. Canova citò anche sé stesso riprendendo alcuni passaggi dal bassorilievo Critone chiude gli occhi a Socrate, come già rilevava Daniele Francesconi scrivendo a d’Este il 22 ottobre del 1801.

Pur non ritenendosi pittore, poneva grande importanza a questa espressione artistica alla quale si dedicò ampiamente dipingendo temi a lui cari come i miti, le allegorie e i soggetti sacri. Prendevano così forma i suoi primi “pensieri”, le sue meditazioni e i successivi processi di studio che sarebbero nel tempo diventati marmi, come scrisse nel libro settimo della Storia della scultura il conte Leopoldo Cicognara, amico ed esegeta dell’artista:

“Coloro che assumeranno di scrivere la storia di Canova, e le particolarità di tutti i suoi studj, delle sue pratiche tutte, e parleranno delle circostanze della sua vita privata, avranno un campo assai vasto di materia su cui spaziare, specialmente se di tutte le sue opere di pennello eseguite […] vorrà trattare con diffusione[2]”.

di Moira Mascotto

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[1] M. Missirini, Della vita di Antonio Canova. Libri quattro compilati da Melchior Missirini, Prato, per I Frat. Giachetti, 1824 (ried. Anastatica a cura di Francesco Leone, Bassano del Grappa, Istituto di Ricerca per gli Studi su Canova e il Neoclassicismo, 2004), p. 136.

[2] A. D’Este, Memorie di Antonio Canova, Firenze, Felice Le Monnier, 1864, (ried. anastatica a cura di Paolo Mariuz, Bassano del Grappa, 1999), pp. 272-273.

[3] L. Cicognara, Storia della scultura dal suo risorgimento in Italia fino al secolo di Canova, vol. VII, Edizione seconda riveduta ed ampliata dall’autore, Prato, per i Frat. Giachetti, 1824, (ed. anastatica a cura di Francesco Leone, Barbara Steindl, Gianni Venturi, Bassano del Grappa, 2007), pp. 245-246.

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