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Ebe, il simbolo della grazia

23/11/2023

Nel 1776 Canova concretizza un soggetto completamente nuovo all’interno del panorama scultoreo, la coppiera degli dei secondo la mitologia greca: Ebe. La fanciulla è immortalata mentre giunge a terra con la gamba sinistra in appoggio e la destra ancora leggermente sollevata, con una mano alzata per versare il nettare e la veste ondeggiante nel vento. Lo scultore di Possagno dal modello in gesso ottiene quattro copie, distinte tra loro a causa di alcune modifiche del 1808 (anno in cui l’esposizione al Salon parigino gli reca varie critiche). Il secondo prototipo, base per l’Ebe Guarini forlivese e per l’inglese Lord Cawdor (mentre il primo è servito per i marmi esposti all’Alte nationalgalerie di Berlino e Hermitage di San Pietroburgo), presenta in qualità di supporto fisico un tronco, anziché una nuvola, ed un panneggio più lungo ed aggraziato. In quest’opera la contrapposizione tra diverse luminosità si ripete su tutto il corpo: mentre il busto ed il volto riescono a creare passaggi tra luce ed ombra molto velati, il panneggio della veste che arriva sotto il seno si apre in infinite pieghe, generando un’incessante alternanza tra chiari e scuri. La luce viene riflessa anche dalle decorazioni dorate, nonché dal bronzo dorato per la coppa, l’anfora, la collana che isola il capo e il nastro che tiene i capelli.

Nella creazione dell’Ebe Guarini Canova utilizza due porzioni di marmo, unite internamente da un perno metallico: una per quasi tutta la figura e l’altra più piccola per la sola testa. La doratura della collana è essenziale per mimetizzare la giuntura tra queste parti, ma non sufficiente per risolvere i problemi interni. Infatti questa decisione costruttiva porterà al formarsi di una fessura sulla schiena oggi visibile, poiché il perno utilizzato, avendo assorbito umidità nel corso degli anni, si ingrosserà e si deformerà premendo sul marmo. Il gesso invece, rimarrà ben conservato e compatto fino alla prima guerra mondiale, quando una granata colpendo la Gypsotheca lo lascerà scevro di alcune parti tra cui le braccia.

      Il carattere intrinseco e “strutturale” per cui l’opera viene riconosciuta all’interno del corpus scultoreo canoviano è la grazia, perfettamente mantenuta nonostante il moto. Quest’ultimo la rende un corrispettivo ottocentesco del Mercurio rinascimentale di Giambologna. Inoltre l’Ebe in quanto scultura aerea completa, in territori compositivi ed espressivi nuovi, una ricerca iniziata negli anni Ottanta con la serie degli Amorini e Amore e Psiche giacenti e stanti. La grazia della coppiera degli dei veniva percepita nel suo incedere come senza peso, nella veste leggera, nel volto e nella gestualità, soprattutto le mani. Inoltre, contribuiva certamente l’espressione lievemente serena sul volto per cui Canova aveva lavorato a lungo. Aveva infatti assimilato i precetti di Winckelmann contro il pathos ed i movimenti esagerati, ed in questo caso voleva anche evitare che il pubblico la confondesse per una baccante, vista l’assenza di elementi distintivi della dea nelle arti visive.

Così dicevano biografi ed amici di Canova:

“Peccato che quella ninfa non parli, dicea un inglese, e quell'Ebe non s'alzi nell'aria! [...] V'ingganate, ei rispose: non avreste anzi alcuna contentezza e sorpresa. Io non presumo colle mie opere ingannare alcuno: si sa ch'elle son marmo, che le sono mute e immobili: mi basta che si conosca aver vinto la mia materia coll'arte, ed aver avvicinato al vero.


Lo diceva sovente, anche agli assistenti e ad altri artisti già avviati: Procura prima di tutto di divenire nell'arte tua valente, cioè: sappi disegno, anatomia e dignità, e senti la grazia: intendi e gusta la bellezza [...] A prima giunta che tu scovri nella natura una parte sommamente bella e graziosa, questa ti basti, perchè tu porrai tutte la parti in accordo e in corrispondenza di quella sublime, e farai con quella un assieme armonioso, e così avrai tutto bello e perfetto. Nel vivere civile, ei notava, ho sempre veduto prevalere gli uomini graziosi sugli uomini severi: chè la grazia è una attrattiva onnipossente, che conquista i cori. Fa conto che lo stesso accada nelle arti: acquista la grazie, e sarai piaciuto: ma bada, che come colui che nella società degli uomini affetta la grazia, e non l'ha, sgraziato addiviene, così l'artista, che troppo studia la grazia, invece di piacere, ti annoia.”
A cura di Sara Irmi, Università di Bologna

FONTI

S. Androsov, F. Mazzocca, A. Paolucci, S. Grandesso, F. Leone, Canova : l’ideale classico tra scultura e pittura, Silvana editoriale, 2009, p. 32, 206, 228-232.

M. Brusatin (a cura di), Pensieri di Antonio Canova sulle belle arti. Raccolti da Melchior Missirini, Abscondita, 2005, p. 16, 17, 21, 30, 43.

H. Honour, Dal bozzetto all’”ultima mano” in S. Androsov, M. Guderzo, G. Pavanello, Canova, Skira, 2003, p. 27.