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Dai bozzetti alle sculture

Un nuovo rapporto con lo spazio
23/11/2023

Molti critici otto e novecenteschi, primo tra tutti Roberto Longhi, ritenevano che il fuoco e il moto di Canova fossero da lui congelati nella pietra e si esprimessero solamente nei suoi bozzetti preparatori di argilla o nei rari dipinti.

Carlo Giulio Argan nel suo manuale, pietra miliare della storia dell’arte, affermava:

[…] il modellato dei bozzetti canoviani è profondo, spezzato, fatto di placche intensamente luminose e di profondi solchi neri. È un modellato che non dissolve la superficie, ma costruisce dall’interno la forma plastica: come se la luce non venisse dal di fuori ma dal di dentro, e non fosse una circostanza mutevole che influisce variamente sulla percezione, ma la forza con cui la forma si dà o s’impone, senza variazione possibile, alla percezione. La forma della cosa reale così poco interessa l’artista che un effetto di luce su parti rilevate è ottenuto, con un più forte accento luministico, con un segno scavato nella materia. Ciò che il bozzetto dà, dunque, non è la figura immersa in uno spazio, ma un frammento di spazio visivo solidificato, un insieme di macchie di chiaro e di scuro che è così com’è e produce l’emozione che produce perché include la figura e fa tutt’uno con essa. Inutile cercare di separare la cosa, la figura, dallo spazio in cui è come fusa […]

Nel passare dai bozzetti di terracotta all’esecuzione finale lo scultore eseguiva un procedimento di perfezionamento e affinamento verso ciò che Giulio Argan definiva la “funzionalità ideale della forma”. Questo consisteva in un’operazione che, sulla base di un repertorio anatomico selezionato, fissava nello spazio delle equivalenze dell’aspetto umano, le quali intrattengono in ogni epoca coi nostri corpi reali dei rapporti parziali di similitudine.

     Fin dai loro esordi, le sculture canoviane hanno manifestato un rapporto nuovo con lo spazio: impermeabili, non comunicano con esso, ma vi sono isolate e per questo idealizzate. A ciò ha contribuito anche il liscio canoviano. Forse queste idee si sono sviluppate sotto l’influenza della formula rivoluzionaria espressa da Newton in “Philosophiae naturalis principia mathematica” (1686) largamente diffusa in Veneto.

“Lo spazio assoluto, considerato nella sua natura come privo di relazioni con qualsivoglia elemento estraneo, resta sempre omogeneo e immobile

I corpi immersi in un tale spazio non lo modificano, ma si dissolvono in esso in tutte le direzioni, per cui girare attorno ad essi si rivela il modo migliore per ammirarli. Se artisti seicenteschi come Giambologna e Bernini erano ricorsi alla spirale per risolvere questo problema (dato anche dal fatto che queste statue smentiscono la prospettiva centrale se non vengono poste davanti a un muro), Canova aveva pensato ad un piedistallo rotante.

      Oltre a ciò, è fondamentale sottolineare che le sculture canoviane erano (e sono) autonome rispetto allo spazio in cui si trovavano, ma non rispetto all’autore, poiché spesso mancavano di una funzione assegnata loro prima della creazione. Per questo è stata essenziale l’istituzione da parte dell’abate Sartori del Museo Gypsotheca di Possagno, casa per i gessi di molte opere che con il passare dei secoli si sarebbero ritrovate senza luoghi adatti ad esse.

A cura di Sara Irmi

FONTI:

C. G. Argan, B. Contardi, L’arte italiana. Dal Rinascimento al Neoclassico in L’arte moderna, speciale del “Corriere della sera”, RCS Editoriale Quotidiani SpA, Milano, 1990.

M. Brusatin (a cura di), Pensieri di Antonio Canova sulle belle arti. Raccolti da Melchior Missirini, Abscondita, 2005.

H. Honour, Dal bozzetto all’ultima mano in S. Androsov, M. Guderzo, G. Pavanello, Canova, Skira, 2003.